«La luna mi fa donna fino all’alba»: Lea Ferranti poetessa dell’amore.

«La luna mi fa donna fino all’alba»: Lea Ferranti poetessa dell’amore.

 

Lea Ferranti nasce a Roma sotto il segno dell’acquario nel 1919. Vive e cresce con una famiglia di artisti, padre scultore e madre pianista. Si sposta tra la Toscana, il Lazio per poi stabilirsi definitivamente nelle Marche, ad Ascoli Piceno dove risiederà sino alla morte, nel 2003.

Scrive per molti anni senza mai pubblicare. Intorno agli anni ’50 cominciano ad uscire alcune sue poesie su riviste, giungono i premi, così nel 1969 dà alla luce la sua prima raccolta Donna di mais. Ne seguiranno moltissime altre. La Ferranti è anche corrispondente di riviste importanti, collabora con pagine locali de “Il Messaggero” e de “Il resto del Carlino”, ma senza percepire denaro, una scelta personale. Non si sposerà mai, punti fermi per la donna saranno la famiglia d’origine e la poesia che occuperà tutta la sua vita. La sua scrittura è stata oggetto di attenzione di diversi critici e scrittori: Bàrberi  Squarotti, Bufalino, Rao, Vizzari e altri.

Sono entrata in contatto con la poesia della Ferranti in maniera inaspettata. Un dono giunto questa estate: La luna sul balcone: poesie dal 1973 al 2001 è l’antologia curata dal professor Luciano Roncalli Benedetti, che raccoglie il meglio delle opere della poetessa, edita da Bastogi. Una vastissima produzione che ha trovato in me un lettore coinvolto e interessato.

lea ferranti
Lea Ferranti

Definita poetessa del mare e dell’amore, Lea Ferranti fa di questi due aspetti temi ricorrenti ma mai ripetitivi, noiosi, logori. Lo stile è sempre sorvegliato e elegante, la parola musicale e mai casuale, pochi aggettivi usati con parsimonia e scrupolo. Tramite i suoi versi è possibile conoscere la terra picena, la magia dei luoghi e la magia praticata nei luoghi in tempi remoti. È possibile conoscere un mare confidente, trovare un gabbiano fedele. C’è nei suoi testi il racconto della tradizione e dell’inevitabile progresso che ha ridotto gli aspetti della cultura contadina. La tradizione e l’industrializzazione si condensano nelle sue opere attraverso la rielaborazione del Mito. Protagonista assoluta delle sue raccolte è la parola, «con la poesia non si può barare» era solita dire.

La solitudine è l’altro leitmotv: «inguaribile malattia» scrive Maria Pia Beani nell’introduzione al volume, che la Ferranti cerca di dominare attraverso i suoi versi lievi; è sempre un dolore composto quello della poetessa, mai esagerato, mai disperante. Lea è una donna consapevole di sé, dei propri mezzi. Loi sosteneva che la Ferranti avesse la capacità di «dare alla parola il carattere di una scelta». Da queste quasi settecento pagine traggo una lezione di stile e di coerenza, immagini forti e chiare, l’originalità del dire di cose semplici, umane in modo raffinato.

Di seguito una scelta di poesie. Buona lettura.

 

 

NEL TEMPO DI UNA VITA

 

Sono la goccia che incide sul travertino

la fine del giorno

fragile radice cresco tra rocce e anfratti.

Mi sono chiesta

se anche Dio sbaglia e abbia mosso i primi peccati

piangendo nel vento di primavera.

Il Paradiso non basta in un giorno di smemoratezza

e stupisco della terra che stringe tra le mani

il cielo.

Dopo aver visto guerre sole piogge e mare

chi se n’è andato come talpa

morta nella tana

non credo che io possa ancora vedere l’umanità

con occhi diversi.

Sono certa:

mi addormenterò

col succo dei papaveri spremuto

sulla bocca.

E sarà tutto ciò che io donna

potrò compiere nell’arco di una vita.

 

 

CANTO DELLE RAGAZZE FUCILATE PER RAPPRESAGLIA

 

Genziane sbocciano dai nostri occhi

dolcemente

per noi la luna secca nel canneto.

Quella sera tenendoci per mano

pensavamo al nostro amore

in fuga sopra un camion.

Al melo fiorito

sotto cui eravamo state baciate

e le nostre trecce sapevano di menta e di viole.

Ora

abbiamo i piedi impigliati alle radici dell’ulivo

le mani bacche di ginepro.

Vorremmo una bara tutta bianca un vestito azzurro

e sul cuore

il fiore rosso del geranio.

Cademmo

colombe prese a tradimento

precipitando veloci per un rigo di sangue

sotto l’ala.

Solo ricordo: il tempo dolcissimo dell’alba

i pioppi oltre l’orizzonte.

Poi più nulla.

Non la casa il buio delle stanze

il primo amore.

Qui cademmo ed era primavera.

 

*

 

Gli onesti e i santi camminano per la stessa strada

E mai s’incontrano –

L’erba scolora i loro passi

E vanno alla deriva sbalorditi.

 

FARE IL MIELE

 

Fare il miele

non assolve l’ape dalla puntura

e per salvare una goccia

non si può seccare il mare.

 

 

*

 

Nessuno esiste

per nessuno.

Pure domani dimenticheremo

i nostri volti

la nube che è goccia

nella brocca

le ceneri di un fuoco

acceso altrove.

Il palpito di ciglia

sopra noi.

 

 

*

 

La farfalla schiacciata dal treno

Le due ali che non si possono

rammendare nemmeno a filo d’oro.

 

 

*

 

L’amore è come bruciarsi in due

nello stesso tronco. Onda di luce

che piano respira e si fa autunno.

 

 

*

 

Si ripete sempre l’errore

di crederci felici.

 

 

*

 

Neanche un monolocale la

porta di legno senza campanello.

E un caffè al mattino amaro se

non c’è lo zucchero. Trecento prefiche

coi capelli

spunduti

i piedi asinini

sulle scale.

Una boccia di acetilene a

Farmi luce e una pelle di lepre

per il freddo.

 

 

*

 

Strade tagliano campi di

grano

colline spinate di verde.

Le case una linea che

accieca

.

Io guardo lontano il Vettore

innevato nel basso azzurro

del cielo.

Rifiuto il sonno fino alle

lacrime e resto a cercare parole nuove

finché l’ultimo sole in fronte

mi muore.

 

 

*

 

La scala a chiocciola m’è necessaria

per vedere a occhi nudi

Altair

un posto dove mai sono stata.

Le statue che respirano la

colomba che cade a vite

e si fa cirro.

 

 

 

Per un approfondimento si consiglia la lettura della tesi di laurea di Alessio Alessandrini pubblicata in arcipelagoitaca.it.

 

 

Alessia Bronico

Adyton – Diana Maat

Adyton – Diana Maat

Diana Maat è lo pseudonimo della giovane poetessa campana che si è aggiudicata la vittoria della XXII edizione del concorso letterario “Ossi di Seppia”. Studiosa di tarocchi rinascimentali si laurea in Lettere. Diana rimanda alla mente la dea delle selve, i culti lunari e segreti delle streghe, i misteri indecifrabili della natura. Maat è la dea egizia che rappresenta l’ordine cosmico ed è connessa alla prova della pesatura del cuore.Adyton350

Ho incontrato Diana ad Arma di Taggia, la sua poesia mi è giunta fluida e serena. Nel 2015 pubblica “Adyton” per i tipi della casa editrice Kipple Officina Libraria. Nella premessa è l’autrice stessa a raccontarci il parto delle sue poesie, in gran numero avvenuto accanto ad un faggio di cinquecento anni, alla vista delle sue sorelle danzanti per la luna piena o nel tempo della raccolta delle erbe.

Diana Maat in questi suoi versi misterici ci invita ad intraprendere un viaggio, un viaggio segreto e a tratti destabilizzante. Quella che si snoda tra le diverse sezioni è una poesia della natura, una poesia magica abitata da dei, animali, erbe e piante. Spunta un «bucaneve tra le torri», «palme», ortiche, la rosa canina, il basilico, il timo, le more, i mirti; bestie selvagge, cigni, lepri, vipere… serpenti guardiani della saggezza, custodi del sapere, abitanti del ventre della Madre Terra.

interista felice a Diana Maat350È «Eden» e poi «Inferno»,  serafini ed «angeli obliqui», polpastrelli e sangue e riti magici. È una poesia selvaggia e pacificante allo stesso tempo, detentrice di verità e di misteri, una poesia terrificante e rassicurante. I versi della Sacerdotessa contengono l’«eco notturno», il canto, il silenzio, promesse e sacrifici, la morte e la rinascita. Decifrare è inutile, bisogna leggere, sedersi nel cerchio, partecipare al cosmo, sentire scorrere la musicalità dei versi, accogliere le parole semplici eppure potenti. Io ho fatto così. Ho permesso a Diana Maat di essermi da guida nel viaggio sapiente, e sto ancora camminando nella Natura.

Di seguito vi propongo alcuni estratti dal libro, che merita la lettura integrale.

Ascolta:

nel seggio

scorre

la linfa del Creato.

Ma io matta di te

mi agito,

e avida del tuo

delirio,

voglio scucirti il ventre

e poi mangiare,

le larve del sogno

 

*

 

Silenzio.

Nelle mie mani crescono le erbe,

nel mio grembo tremano le eclissi.

Ma tu chiamasti i venti a farmi guerra,

mentre urlavo insieme ai folli

sotto l’arco dei leoni.

 

*

 

Ero legata e mi persi

tra fontane di luce,

o passi d’angeliche forme!

Ora sono sporca

del grumo più nero:

e tu non dire a nessuno,

come gioisco sul patibolo.

 

*

 

Con i guanti neri

allineavi

bacche di ginepro sullo specchio.

Com’era caro, e gentile il caprifoglio,

o melodioso corno!

Hai tagliato in due il mio labbro

come si spacca un frutto:

una parte per la luce,

l’altra per l’oscuro.

 

Intervista breve

  1. Perché scrivere con uno pseudonimo?

Per essere libera dalla carne, il corpo al poeta non serve a niente.

  1. Come definiresti la felicità?

Come il silenzio dopo un lungo mantra tra gli alberi.

  1. Che rapporto ha con la natura Diana Maat?

È il rapporto d’amore che una figlia ha per sua madre: canto il corpo sacro della Dea, la porta della Vita, la casa armoniosa di tutti gli esseri.

  1. La poesia ha una componente magica?

E… Sciamanica, ditirambica…

  1. Mi sembra che in “Adyton” non compaia mai la parola amore, né il verbo amare. È un sentimento in cui non credi?

È il sentimento che guida tutte le mie azioni, il segreto che ho nascosto nell’Adyton. È una parola così sacra e potente che quasi mi spaventa pronunciarla.

  1. Chi è un poeta?

Messere il vento, voce gentil di primavera.

  1. Leggere “Adyton” è come percorrere una parte del tuo cammino. Che importanza ha il viaggio in questa raccolta?

È la Gioia! Lo spirito si desta, vuole far festa, il viaggio lo condurrà a Casa.

  1. Un poeta di cui non puoi fare a meno?

Messere il vento, voce gentil di primavera.

9. Diana Maat è?

Figlia della Luna, sposa di Virgilio, madre di tutti gli incantesimi.

  1. Consigliami un libro, un luogo, un sentimento.

La Dea bianca di R. Graves; la bocca del Vesuvio; la compassione.

 

Alessia Bronico

Combattimento e Amore: intervista a Lamberto Garzia

Combattimento e Amore: intervista a Lamberto Garzia

Esistono venti di cambiamento e nel 2014 questo vento rivoluzionario ha soffiato parole nuove. Il suo nome è Shiai e Ai,  raccolta poetica di Lamberto Garzia pubblicata nel febbraio 2014 per i tipi della casa editrice effigie. Non c’è pretesa alcuna da parte mia di darne una lettura critica, solo la volontà di condividerne la meraviglia.

shiai e ai
Shiai e Ai

Il libro di Garzia ha avuto un effetto magico, ha ridestato in me il senso poetico, ha riaperto i canali dell’amore. Un lavoro unico, «il libro più coraggioso e più importante degli ultimi vent’anni» come l’autore stesso dice in un’intervista a Postpospuli. «Ecco finalmente un libro guerriero!», così esordisce Milo De Angelis nella postfazione.

Shiai: combattimento, ed è duello tra gli amanti, potere e sottomissione, amplessi e suppliche, «shime waza» e «arashi», uno scambio tra «sensei» e «deshi» alla ricerca di un automatismo corretto, dell’equilibrio.

Il filo rosso del destino armonioso

L’uomo d’occidente capirà tardi che nello shiai della vita

utile sarebbe stato uno scambiare leale sentimento e carne:

dove uke e tori in Amore dal filo rosso si fanno amalgamare…

– e non una chimera il mono non aware.

Ai: amore, ed è un «un libro finalmente d’amore» scrive Giuseppe Conte. Un amore guerriero, amore e «Kiai», e danze improvvisate, fruscii di kimono, pennellate sullo «shoji», ed è primavera, corteggiamento e lotta, scorticamenti e parole sussurate all’orecchio: «osae» e atto d’amore.

Opprimere sul cuore

Nel randori d’Amore bisognerebbe abolire

lo shime waza al cuore, pensava la donna d’oriente,

guardandosi allo specchio di falso metallo;

e sul suo chibusa non fiori di ciliegio e petali

a fare da cascata, ma seme di uomo d’occidente.

Shiai e Ai, non può esserci amore senza combattimento, che rivelazione!

Il filo rosso del destino armonioso

L’uomo d’occidente capirà tardi che nello shiai della vita

utile sarebbe stato uno scambiare leale sentimento e carne:

dove uke e tori in Amore dal filo rosso si fanno amalgamare…

– e non una chimera il mono non aware.lamberto garzia

Questo di Lamberto Garzia è un libro straordinario, finalmente una poesia nuova. Assolve ad un compito difficile: far convivere oriente ed occidente in perfetta stabilità. Sebbene l’autore ci fornisca un utile glossario, non è necessario consultarlo continuamente, i testi fluiscono con tale naturalezza da non rendere affatto difficoltose le variazioni di linguaggio. Conte ci dice che siamo di fronte ad un libro «di disperazione, di ribellione, di gioia che sarebbe un peccato contro la vita non leggere».

Supplica d’Amore

La donna risalendo la valle profonda non tenta

ottomila abluzioni e chissà quali le purificazioni.

La donna risalendo la valle profonda

appese fuori dal suo appartamento una ema

nella quale vi era calligrafata una semplice,

cristallina, sobria preghiera:

Kami che governi il cuore concedimi

almeno un solo primo sorgere di vero amore…

Questi ultimi i miei versi prediletti. Non ho detto molto. È vero. Capita quando ci s’imbatte nei capolavori. Shiai e Ai è un capolavoro, lo è. Opere di questa portata parlano da sole, contengono già tutte le parole necessarie alla comprensione.

Ritsurei.

Breve intervista

  1. Nel 2006 hai pubblicato Un poeta tra le righe. La poesia raccontata ai bambini dagli 8 agli 80 anni. Dimmi, che pubblico è quello dei bambini?

Il libro al quale fai riferimento, se debbo essere sincero, mi è stato commissionato. Per scriverlo, chiedendo ausilio collaborativo ad amici, ho tenuto sempre in mente l’opera di Giambattista Vico (“Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, ed è proprietà de’ fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologico-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti”) e cercato di fare frutto della mia esperienza su alcuni corsi che ho tenuto sulla creatività versificatoria nelle scuole elementari, tralasciando quelli alle medie e alle superiori che poco mi hanno lasciato, per non parlare di quelli universitari.

Il pubblico dei bambini riesce ad essere molto attento, a patto che si riesca, inizialmente, a fargli vivere la poesia come un “trastullo” linguistico, metaforico ed allegorico.

2.  Che cosa ti ha insegnato la vita e cosa la poesia?

La “Vita”, senza addentrarsi in questioni attinenti la filosofia, la teologia e la biologia, mi ha insegnato che La vita è meravigliosa (Frank Capra docet); nutro seri dubbi sull’abitare l’esistenza, e poco di supporto il rasoio di Occam o l’antirasoio di Chatton.

La poesia a far rimanere costante la mia idea di ribellione verso parte del tutto e in parte di tutti. Ma qui bisognerebbe tornare al periodo del prima adolescenza, quando improvviso e vulcanico ribollì in me uno smodato desiderio anelante la disperata ricerca di Libertà. Non sapevo e come quale strada o palude malsana intraprendere, ma si presentò a me, sotto forma di ammiccante sodale, Poesia, e la mia conoscenza delle arti in genere era ad un livello ancora più basso dell’approssimativo. Poesia: nuda, vera, quartanaria. Non potei fare a meno che accoglierla e dare inizio al “categorico traghettamento monorematico” Anche se forse avrebbe dovuto ragguagliarmi, aggiungere parola e suggerirmi di adottare severe precauzioni, ma non lo fece: Lei, la febbrile, Lei a scegliere me e non io a scegliere Lei: la camerata célibatarie, vestale senza veli, e adesso tout est bu, tout est mangé! Plus rien à dire!

  1. Lo senti terminato quello che chiami categorico traghettamento monorematico, e la Libertà l’hai trovata, ti senti libero? 

 Il traghettamento no, la Libertà e il sentirmi Libero credo, approssimativamente, di sì, diciamo di sì… ma quante indescrivibili battaglie, agguati, trappole, troppo, troppe le rovine materiali e spirituali lasciate alle spalle. Forse non lo rifarei… non lo consiglierei, d’altronde basta vedermi od ascoltarmi e leggermi come in questo istante.

  1. Se dovessi scegliere uno solo dei tuoi versi da portare nel futuro, quale sarebbe?

    Lo so, papà, che per ora non scrivo più … Ma, e se mi è concesso, vorrei riportare per intero la poesia, è assai semplice, scritta nel 1990, apparsa in volume nel 1997 e poi ritornata, per chiara pusillanimità, nella seziona più atrofica della mia anima: in topaia.

(Après la chanson)

Lo so, papà, che per ora non scrivo più

di duelli, o di quello che era oro

e del suo affranto e affannoso ricercare.

Ma è una paura di non arrivare

a ciò che tu vorresti io arrivassi:

a quell’età più grande della mia

e che assomiglia nel colore dei capelli

alla tua.

Ma che terrore di grattacielo

vedere il tuo tempo attraversarti

inesorabile e definitivo:

ed io inerme, e inutile la spada,

e inutile io.

  1. Hai scritto anche per il teatro e Shiai e Ai (Effigie, 2014) sarà messo in scena. Qual è il punto d’incontro tra poesia e teatro secondo te?

Il Teatro di Poesia fruisce in me un edificante godimento estetico; di questo ne ho scritto e ne ho avuto fortuna di vederlo rappresentato ed ho anche organizzato delle specifiche manifestazioni. Ma su un punto sono categorico: l’autore crea, l’attore interpreta a suo modo ciò che è stato creato, ricreando. Non gradisco il poeta in scena. Non mi piace, ma forse è dovuto al fatto di essere prevenuto, o più meschinamente che sono io a nutrire una sorta di benevola idiosincrasia verso uno specifico spazio e di fronte ad indeterminati auditori, immagini di Bacon.

  1. Stai scrivendo, pubblicazioni in programma?

No, forse perché sto rielaborando, e questo assai probabilmente è clinicamente preoccupante, molti lavori compresi dal 1989 al 2016, aggiungendo una manciata di testi mai apparsi in rivista e volume. Sto pensando ad un titolo da circa tre mesi, ne ho in mente alcuni: “Libero con Febbre”, dove i rimandi sono all’ Ovidio de I Fasti (Libro III) ed al Pascoli  dell’Ecloga XI (Sive ovis peculiaris), “Febbre (in) Febbraio” ed io sono nato il 5 febbraio,  “Libero senza Libera”, dove vi è una dichiarata eco alla mitologia classica romana e ad un aver ubbidito ai comandi tassativi e sfrenati dei despoti cinque sensi,  eccetera. Vorrei inviarlo prima dell’estate al mio editore ufficiale Effigie od un altro sempre milanese che ha da poco creato, al suo interno, una importante collana di poesia. Dico ufficiale, perché il volume edito nel 2016 col titolo “Autoritratto con divano” da una da me non tanto stimata piccola casa editrice altro non è stato che voler vedere stampati parte dei miei vecchi testi con molte note a piè di pagina, appurare se vi era una resa grafica/estetica ed altre cosucce, tutto meramente qua. Inizialmente volevo stamparne una singola copia con il self-publishing, ma poi ho avuto questa proposta ed ho, profittandone, vanitosamente accettato, tenendo conto che avevo anche un iniziale modesto ritorno economico. Et tout le reste est littérature…

GARZIA - AUTORITRATTO SCHEDA350
Autoritratto con divano
  1. Perché il tuo vivere abbastanza appartato, il tuo rimanere fuori da un determinato ambiente letterario, quello che conta e che hai frequentato nel passato?

Diciamo che preferisco frequentare alcuni amici passati che sono rimasti tali nel presente e spero nel futuro. Diciamo che molti discorsi che si infarciscono in specifici ambienti letterari mi affliggono, et l’Angoisse atroce, despotique, sur mon…  e poi, da buon anarchico, non amo per niente le varie consorterie artistiche, un bieco agire altamente utilitarista, null’altro. Diciamo che preferisco altri tipi di “aggregazione” e dalle forti tinte edonistico tattili, e chi vuole intendere intenda…  Ô fangeuse grandeur! sublime ignominie… e poi quell’atteggiarsi nell’idea del “tragico”, essere nella Tragedia: null’altro di più grottesco: noi, la nostra Italia, il Paese che ha inventato la Commedia dell’Arte, lasciamo perdere…

  1. Letture attuali

Pochissima narrativa, con spirito umile e neofita mi sto interessando da due annetti alla neurologia estetica, agli scritti di  Vilayanur Subramanian Ramachandran, di Semir Zeki e di Vittorio Gallese. E in altro campo, ma sempre tra virgolette scientifico, i libri dell’incantevole psichiatra piemontese Eugenio Borgna .

Non tanti libri in versi,  sì alcuni/e giovani che mi piacciono e per fare due nomi a titolo dimostrativo tu ed Eleonora Rimolo. Quasi per niente un non discreto numero di quegli autori attuali con l’alloro plastificato cinto sulla testa, perché non mi danno emozione. Ma, a questo punto mi sono posto una intransigente domanda: ma se questi glorificati poeti non li ritengo bravi poeti ed altri, a miriadi di grappoli sapienziali, li reputano eccelsi, vuole forse dire che sono io a non capirci un belin, un parastate di me stesso? Di fronte all’irresolutezza del quesito, da quasi due anni, ho depulso in me qualsiasi tentazione scribatoria, compreso il non leggere più, per il momento, alcun verso loro; forse il futuro sarà più benevolo ed io sentirmi meno belinone, meno càntaru…

  1. Fammi un dono: la tua poesia prediletta di Beaudelaire.

Debbo fare una premessa: Baudeleaire, che adoro, è un poeta che ho letto e leggo con timore e tremore, riesce a penetrarmi chirurgicamente il cervello con i suoi versi punteruolati . Se devo sceglierne una direi “L’aube spiritelle”.

Alessia Bronico

 

Lamberto Garzia, nato a Sanremo nel 1965.

Ha vissuto prevalentemente tra Nizza, Roma (baracca adiacente a quella di Valentino Zeichen), l’Abruzzo (le sue origini da parte materna) e la Liguria, dove attualmente risiede.

Pubblicazioni:

La Chanson de Lambert, 1997 (prefazione di Giuseppe Conte)

Leda, 2003, (prefazione di Claudio Damiani)

SHIAI E AI – Combattimento e Amore, 2014 (postfazione di Milo De Angelis)

Svolge attività di operatore culturale, oltre che attento e cuorioso lettore della giovane poesia italiana, che cerca di promuovere grazie al Premio “OSSI DI SEPPIA”, nel quale da venticinque anni copre l’incarico di segretario ed organizzatore.

«Il tempo di un’umanità nuova: la popolazione plastica»: Padania di Massimiliano Santarossa

«Il tempo di un’umanità nuova: la popolazione plastica»: Padania di Massimiliano Santarossa

Ho letto, forse, questo romanzo con gli occhi d’un poeta e non so dire se sia un bene o un male.

1Massimiliano Santarossa nel suo ultimo lavoro racconta, attraverso una famiglia, la deriva in cui versa l’Italia Settentrionale. Max e Anna sono una coppia in disfacimento sentimentale, sono genitori addolorati dalla perdita d’una figlia, individui giunti al successo di cui restano vittime. In copertina leggiamo romanzo sociale, Santarossa non concede evasione al lettore, al quale sarà richiesta partecipazione, in un certo modo la collocazione di se stesso da qualche parte tra le parole che dipingono il disfacimento del Nord, il grande Nord industrializzato: asfalto, droga, sesso, corpi di gomma, nuovi curricula in movimento.4

«Cos’è uno scrittore se non l’inaccettabile mostro che divora l’aria per tramutarla in inchiostro?»

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L’autore sin dai suoi primi romanzi ci ha abituati alla narrazione della periferia italiana, raccontandocela dal punto di vista di chi la periferia la vive. In questo romanzo muta la prospettiva, la storia è raccontata da Max, scrittore che conduce una vita borghese, uomo ricco e di successo che abita un quartiere benestante. È lui a fornirci il ritratto sociale, geografico ed economico dei luoghi che costituiscono per definizione la Padania. Padania è la storia del cambiamento di un territorio trasformato dalle fabbriche, dalla cementificazione, dalla crisi economica. È la storia dell’ascesa e del declino. Santarossa rende evidente attraverso la scrittura, non tradendo pasolinianamente il suo ruolo, “l’insuccesso del successo”, butta sul tavolo i fatti e: «se è ben chiaro che la verità è solo personale, quindi inesistente, è ancora più chiaro che la realtà è invece sempre collettiva, perciò esistente, quando la si sa leggere e la si vuole vedere».

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La narrazione è scorrevole e diretta; l’autore opera la scelta di rendere il romanzo circolare, s’apre e chiude con la stessa frase: «Ci sono sempre troppe voci lasciate all’aria. Sarebbe tanto più vera e pulita l’aria, persa nel silenzio», lasciando al lettore tre puntini di sospensione, un’apertura?

«Se c’è una cosa che mi fa spaventare/ del mondo occidentale è questo imperativo di rimuovere il dolore», le parole cantate da Brunori nel suo ultimo lavoro (A casa tutto bene), mi riportano ad una realtà collettiva, per l’appunto, che tenta di allontanare la sofferenza, e Santarossa ce lo dice che l’infelicità è la peggiore delle malattie. 2Rimuovere il dolore, affidarsi all’apparenza: «finzione di futuro», lo fanno Max e Anna ignorando nel quotidiano le conseguenze della morte della figlia. Fingere di non avere paura. Ma se in Viaggio nella notte, ne Il Male, e in Metropoli la soluzione alla brutalità della vita era riposta nel suicidio o nella fuga, qui si lascia spazio alla speranza, attraverso un dialogo tra padre e figlio, la speranza è nella Parola che è riscatto.

Padania. Vita e morte nel Nord Italia, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2016, 350 pagine, corredate da foto in bianco e nero dei luoghi del romanzo, scattate dall’autore, e da un “Breve saggio sul Nord” in forma di note interpretative al romanzo. Una documentazione che ha il compito di chiarire al lettore la situazione contemporanea dell’Italia del Nord.

Breve intervista

  1. Sulla copertina del libro è scritto «romanzo sociale»? Non è forse più di un romanzo sociale?

Quando in casa editrice abbiamo pensato alla definizione “romanzo sociale”, abbiamo voluto evidenziare immediatamente l’impegno di Padania, cioè la volontà di affrontare direttamente i temi che la letteratura ha il compito di affrontare: la politica, la religione, la perdita, le tensioni sociali e intime etc. Pertanto non credo sia riduttivo, nella definizione “sociale” ci sta dentro molto di ciò che risulta “reale” alle persone. In sostanza ho tentato di tenere tra le pagine il disfacimento della “società”, ma anche un aspetto di riconciliazione con se stessi.

Layout 1

  1. «Lo guardo, lo misuro, lo comprendo, nella forma vi è la prima comprensione del mondo e degli esseri viventi nel mondo», quali sono le forme che la rappresentano?

Ho sempre avuto dei limiti nella comprensione oggettiva della realtà, quindi delle sue forme; fin dall’infanzia mi sfugge, fatico a catalogare, sistemare, cioè comprendere le forme, e le persone. Per questo sono uno scrittore. Avessi “compreso” la vita, non scriverei. Essere scrittori (non “fare” gli scrittori) vuol dire essere dei dispersi, individui alla ricerca di tutto. Pertanto non ho alcuna forma o mondo o movimento o qualsivoglia “cosa” di riferimento. Cerco. Scrivo. Tutto qui.

  1. In Padania la pioggia ce la racconta Giulio, figlio di Max e Anna, descrivendo il funerale della sorella. Nel suo romanzo, però, non piove mai ma i cieli crollano. Perché?

Nei precedenti sette romanzi pioveva sempre o quasi. Ho spesso pensato, pur da ateo, alla pioggia come all’unico elemento di collegamento a un qualche dio, nella fattispecie un elemento punitivo. In Viaggio nella notte esempio il protagonista alzava gli occhi verso le nubi chiedendosi perché dio e gli angeli tutti fossero dal primo all’ultimo nudi, con enormi cazzi allineati e intenti a pisciargli addosso. In Friuli, fino a qualche decina di anni fa, se durante un funerale pioveva sulla bara dicevano “piove: il morto ha peccato in vita”. In questa regione la fede ha avuto sempre tratti estremamente arcaici. Da qui buona parte della poetica pasoliniana, turoldiana etc. E anche mia. Padania invece è un romanzo diverso dai miei precedenti, come lei bene ha evidenziato. In queste pagine non piove mai. È un tempo avanzato, compiuto, quasi definitivo, dove dio non viene più evocato dagli uomini né dai bambini. Padania è appunto l’oggi immutabile che tutti viviamo. Il tempo di un’umanità nuova: la popolazione plastica.

  1. Max è un padre assente, assorbito dalle proprie dipendenze, dalle proprie frustrazioni. Tuttavia in chiusura il suo atteggiamento muta. È possibile salvarsi, l’indifferenza non ci annienterà?

Max è il ritratto del padre occidentale: individuo mai divenuto adulto, un padre rimasto figlio, rivoltato sul proprio ombelico, un padre feto, dalle esigenze pertanto ombelicali: lui al centro del mondo. Un padre così, naturalmente, non ha la sufficiente forza e volontà per stare vicino al figlio, tantomeno per esserne da “esempio”. Nemmeno lui si “salva”, la salvezza è un pensiero tipicamente cattolico: salvarsi da questo mondo per giungere in un mondo altro. Max, il protagonista di Padania, è uno scrittore con forte attrazione per la filosofia, il pensiero, l’illuminismo, è ateo, per cui sa bene che non avrà scampo dalla fine. Tuttavia nell’andare della sua vita, cioè del romanzo, riconosce l’osceno e se ne distacca. Così da avvicinarsi all’unica persona che davvero conta: suo figlio.

  1. Nei suoi romanzi, non solo in Padania, c’è un gioco di specchi. Perché?

Perché si opera una critica, dico verso se stessi, unicamente specchiandosi, osservandosi, ma da prospettive diverse. In Padania uno dei passaggi per me più toccanti è nel capitolo del ricovero all’ospedale, quando Max incontra il ragazzino di quattordici anni, malato, solo, ma che resiste. In certi passaggi chi scrive narra lo scrittore e lo scrittore vede chi scrive in una dimensione altra, tra passato (quella scena potrebbe risalire al 1988) e futuro, Padania è ambientato nel 2020. Io, oggi, ho 42 anni, Max ne ha 45 nel 2020. In fondo scrivere significa passeggiare a braccetto di Freud o Lacan, in una perenne autoanalisi. Anche se trovo più interessante Nietzsche e la filosofia.

2007_2017
Massimiliano Santarossa
  1. Padania è anche uno spettacolo teatrale: Solitari, Padani, Umani? nasce in collaborazione con il cantautore Pablo Perissinotto. Materializza sul palco la sua Parola, dandole una veste anche fisica. Lei ama i non-luoghi ma il palco è luogo, luogo sacro, di epifanie, luogo dove si è in relazione diretta con il pubblico, scambio. Cosa ha dato e cosa ha preso. E quali sono i progetti futuri?

Non ho mai provato attrazione verso l’arte teatrale, cioè verso il corpo e il suo movimento. Difatti il mio stare sul palco dei teatri si risolve in una forma di immobilità, di lettura interpretata certo, ma immobile. Muovo solo le mani, ma questo da sempre, fin da bambino, erano l’unica maniera che avevo per spiegarmi: io, bambino scimmia che non sapeva parlare, leggere, scrivere fino alle ultime classi delle elementari. Dal teatro pertanto non ho preso nulla, rimango distaccato, per rispetto di un luogo che non mi appartiene. Però continuerò a frequentarlo: in futuro ci sarà Migranti, sempre con Perissinotto. Porteremo la voce, in forma di parole e musica, di chi fugge dalle guerre, dalla fame, dai deserti assoluti, per cercare un futuro. Proprio come eravamo partiti noi italiani nel secolo scorso.

  1. Nel 2017 la sua scrittura compie dieci anni, per l’occasione tornano alle stampe i suoi primi romanzi: Storie dal fondo e Gioventù d’asfalto. Ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo romanzo. Le ragioni?

Questo è un anno importante per me. Dieci anni, otto romanzi, non sono pochi per uno scrittore. Viviamo in un’epoca dove l’arte, e chi la crea, vengono divorati dal “mercato mostro” in tempi brevissimi, anche alcuni mesi. Tuttavia alcune opere resistono. E questo mi rende orgoglioso. Se mi giro indietro scopro di aver scritto molto, girato molto, letto molto, ma Padania non sarà il mio ultimo romanzo. È solo il mio ultimo romanzo per molto tempo. Semplicemente, per ora, ho scritto tutto ciò che avevo da scrivere.

  1. Salutiamoci con una poesia.

Riporto una visione, in versi, di Michele Houellebecq. È un’immagine di un’alba livida su una metropoli che si risveglia, identica al giorno prima, e a quello dopo.

«Oggi avrà luogo. La superficie invisibile/ che delimita nell’aria i nostri esseri di sofferenza/ si forma e si indurisce a una velocità terribile».

Alessia Bronico

Massimiliano Santarossa è nato nel 1974 a Villanova (Pordenone).

Ha pubblicato i libri Storie dal fondo e Gioventù d’asfalto per Edizioni Biblioteca dell’Immagine; Viaggio nella notte e Il male per Hacca edizioni; Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, Cosa succede in città e Metropoli per Baldini&Castoldi. Collabora con quotidiani e radio.

Padania segna il suo ritorno al realismo letterario.

Per il teatro ha scritto Solitari, Padani, Umani?

www.massimilianosantarossa.com